LETIZIA CALANDRA È UNA SINTESI DELLA BELLEZZA VOCALE, DELLO STILE E DELLA SUBLIMAZIONE DELLA PAROLA CHE ATTRAVERSO UN CANTO CHE SCORRE COME FRESCHE ACQUE TRA SOLIDE RIVE, TRACCIA IL DIAGRAMMA DELLA GRANDE INTERPRETAZIONE MUSICALE.
DI FAUSTO TENZI
Una immagine e una metafora per definire l’abbraccio ideale con l’aureo mosaico della musica, da quella antica, al barocco, ai grandi classici, all’800 operistico, fino ai contemporanei. Dall’ascolto della sua numerosa discografia, emerge una delle più belle pagine vocali della letteratura musicale antica “Amarilli, mia bella” di Giulio Caccini.
Di questo capolavoro, Letizia Calandra ci restituisce una interpretazione intensa e passionale, mantenendosi nell’alveo di una grande raffinatezza espressa con un rigoroso “suono vocale” privo di inopportune vibrazioni.
Un processo fisiologico della fonazione vocale che così elaborato dalle “aree del piacere” della mente, così la caratterizza.
Napoli, crocevia culturale europeo già a partire dal XVI secolo, dove nasce una forma di canzone profana, dal contenuto rustico, comico e sovente satirico “La Villanella”. Nel tuo ultimo cd “Erotica Antiqua”
Neapolitan Villanellas, edito da Brillant Classics, appaiono autori come Orlando di Lasso e Andrea Falconieri. Nel cd dedicato a Domenico Scarlatti e alle canzoni napoletane antiche, proponi un originale
contaminazione tra colto e popolare. Ti senti erede dell’affascinante mondo culturale di una Napoli immutabile nel corso dei secoli?
«La Scuola Napoletana fu una vera sorgente musicale per tutta l'Europa, a partire dalle sue origini nel secolo XVI dove nasce la prima forma di canzone napoletana, chiamata “Villanella”. Nel mio ultimo abbiamo scelto 20 villanelle a contenuto erotico neanche lavoro, troppo sottointeso. “Matona mia cara” scritta da un autore colto e dedito alla musica sacra come Orlando di Lasso ne è uno straordinario esempio. Questa villanella, narra le gesta di un soldato Lanzichenecco che arrivato a Napoli esprime tutti i suoi ardori ad una pulzella “…ficcar tutta la notte, urtar come monton…”, piuttosto che la disperazione di una giovane fanciulla per la perdita della sua verginità “…me s’è rotta la cicinnatella “ nella “Sia maleditta l’acqua stamattina”, oppure l’Eros al gusto di frutta che ci rimanda a
“Boccuccia de nu pierzeco apreturo”, con l’allegoria della bocca di una fanciulla ad immagine poetica ed erotica di una pesca ancora non del tutto matura, da cui sgorga il latte, che desidera essere dischiusa da mani sapienti. Nel mio altro cd dedicato alla Napoli antica “Scarlatti and the neapolitan songs” (Brilliant Classics 94488 ) anche questo
(/media/k2/items/cache/3d3b7d5d68132cc424920deb43e754bb_XL.jpg)
realizzato grazie alla preziosa collaborazione dello straordinario cembalista bolognese innamorato di Napoli, Francesco Cera, abbiamo voluto mettere in risalto quanto l’influenza della canzone popolare napoletana (e non
solo quella della musica popolare spagnola di cui si parla sempre) sia stata determinante nella produzione di sonate per cembalo di Domenico Scarlatti. A riprova di ciò, abbiamo scelto e abbinato per ogni sonata una
canzone, e il risultato è sorprendente». La canzone popolare partenopea è alle origini della grande scuola napoletana settecentesca.
Nella mia carriera ho avuto la fortuna di interpretare moltissimi ruoli in opere di autori come Jommelli, Pergolesi, Cimarosa, Paisiello, Traetta, Leo, Porpora, Mercadante, autori senza i quali il Genio di Mozart non sarebbe stato lo stesso. Purtroppo anche il patrimonio musicale del Settecento napoletano è stato dimenticato a favore dal melodramma ottocentesco. L’Italia non ha mai fatto nulla per rivalutare tutto questo, ma
negli ultimi anni questi autori sono riemersi grazie all’impegno del Maestro Riccardo Muti che con la sua autorevolezza ha potuto riproporli in contesti adeguati».
Le più celebrate romanze napoletane, vengono proposte sostanzialmente da possenti voci tenorili, che pure affascinanti, quando a interpretarle è un indimenticato e inarrivabile Giuseppe di Stefano (basti pensare a “Core n’grato”, “Na sera e maggio”, “Torna a Surriento” o l’icona massima “O Sole mio”) dove tuttavia è facile lo sconfinamento nella platealità e nel cattivo gusto, costantemente in agguato. Dove sta la giusta
misura per queste meraviglie vocali. Forse le intime, sommesse interpretazioni di Roberto Murolo, Fausto Cigliano o Carlo Buti?
«Tutti cantanti straordinari per mille motivi diversi, ma ce n’è uno tra tutti che reputo sia stato il più grande per bellezza vocale e raffinatezza interpretativa: sto parlando di Sergio Bruni. Questo incredibile artista di origine contadina, a oltre sessanta anni di età ci ha lasciato forse la più bella raccolta di canzoni napoletane, mi riferisco all’antologia napoletana curata dal Maestro Roberto De Simone. L’Italia si è dimostrata troppo spesso
irriconoscente nei confronti dei suoi grandi artisti, Sergio Bruni non è stato adeguatamente riconosciuto in vita ed è stato ingiustamente dimenticato da morto e la lista è lunga! Napoli ha le sue gravi responsabilità in tutto questo. La canzone napoletana, attraverso 500 anni di storia, rappresenta la nostra identità culturale e dovrebbe essere considerata la nostra musica da camera, come fanno i tedeschi con la liederistica e andrebbe finalmente eseguita in contesti riservati alla musica classica.
Per troppo tempo, la canzone napoletana ci è arrivata attraverso brutte
interpretazioni sconfinanti nel cattivo gusto e nel solito cliché di una Napoli esageratamente folkloristica.
Della Napoli colta e del suo immenso patrimonio musicale si sa poco o niente e nessuno in Italia è disposto ad investire in questo.
Da anni mi dedico alla riscoperta dei grandi classici della letteratura napoletana, spiegando i testi e raccontando le storie durante i miei concerti. Tecnicamente ho lavorato per sottrazione, convinta che in questo
repertorio l’eleganza e la semplicità di una bella voce non impostata, accompagnata anche solo da una chitarra,
bastino a trasmettere tutta l’emozione che queste canzoni richiedono.
Nei miei cd dedicati a Napoli ho avuto la fortuna di avvalermi della collaborazione di splendidi musicisti, tutti provenienti dalla musica classica come Francesco Cera e il suo ensamble barocco ArteMusica, il pianista Cubano Marcos Madrigal e il grande Fausto Cigliano.
Purtroppo la canzone napoletana, che tutto il mondo ci invidia, muore sotto l’indifferenza e l’ignoranza di un Italia e dei napoletani, che alla loro storia musicale antepongono il pop e altre forme di esterofili mode che non
hanno niente a che vedere con la nostra identità culturale».
Nelle partiture dei grandi capolavori operistici, sono definiti la drammaturgia, il contesto storico, i luoghi e l’azione scenica, chiaramente tracciati dalla composizione musicale. I valori musicali puntati nel testo e
nell’accompagnamento orchestrale nell’aria di Alfredo nel secondo atto della Traviata, palesano un cuore giovane che batte per amore. Il grandioso tema conduttore nel Don Carlos verdiano, evoca la cupa
grandezza di un mondo dominato dal potere dalla chiesa e l’impotenza di Don Carlos combattuto tra la ragione di Stato e un amore impossibile.
I guizzi del “Fuoco di Gioia” del primo atto dell’ Otello di Verdi,
evocano chiaramente scontri di calici di peltro, vino e odore di cuoio, ritmo ossessivo e scontro di sciabole fra Saraceni o la turchesca rabbia ivi trasfusa! Tutto ciò è insito nella composizione musicale. Quale vuole
essere il messaggio di una Boheme o di una Traviata svolti in una stazione ferroviaria?
«Lo stravolgimento temporale, scenografico e costumistico, ma prima ancora “drammaturgico” di un opera lirica
non mi convincono completamente. Tuttavia se all’origine di uno stravolgimento ci fosse un’idea valida la cosa potrebbe diventare interessante, ma purtroppo spesso si vedono solo provocazioni fine a se stesse, fatte per far parlare e mettere in risalto l’ego smisurato di certi registi a discapito di tutti. Prima di imporre scenari “scioccanti” e spesso “squallidi” oramai divenuti anche “scontati” sarebbe meglio dimostrare di saper fare bene una ricostruzione d’epoca e di avere più rispetto per la tradizione. In alcuni casi un ritorno all’antico e alla tradizione rappresenterebbe il vero progresso».
“O bellissimi capelli”, “Vezzosette care pupillette”, “Occhietti amati” di Andrea Falconieri: tre stupende
miniature vocali presenti su un tuo cd, richiamano l’immagine di un paradiso lontano con giardini e petali di rose che si chinano sotto il peso di una goccia di rugiada, in un umile e silenzioso omaggio all’equilibrio e
alla bellezza. Che cosa ha in comune l’immagine di questa spiritualità musicale di un mondo così lontano, con un tempo che propugna a tamburo battente, una sequela di rozzezze?
«Quando ascolto Monteverdi, Gesualdo, Frescobaldi, Sigismondo d’India… mi viene una profonda malinconia,
perché in quelle armonie di perfetta bellezza ritrovo un po’ di quel paradiso perduto. Oggi la musica non ha più l’importanza che aveva un tempo, il mondo è cambiato. I geni del passato si chiamavano Leonardo, Raffaello,
Michelangelo, Mozart, nel tempo della tecnologia si chiamano Steve Job, Larry Page, Sergey Brin, Mark Zuckerberg, Bill Gates. A fronte di una condivisione molto più veloce e democratica di informazioni e possibilità, si
sono persi i riferimenti che per secoli indicavano bellezza e armonia. Le persone oggi non distinguono più il bene
dal male, il bello dal brutto, non si hanno più punti di riferimento e si inseguono i falsi modelli dell’apparire e dell’avere. Un tempo, la gente semplice era consapevole della propria ignoranza, ma allo stesso tempo era
custode di una “cultura popolare” importantissima per la nostra identità, oggi si è persa anche quella e le persone oltre che ignoranti sono diventate pure strafottenti. In un periodo come questo è fondamentale offrire al pubblico bellezza e cultura ma in Italia questo è diventato difficilissimo. La classe politica italiana, la scuola, i media, coloro che detengono il potere hanno una grossa responsabilità in tutto questo…il discorso sarebbe lungo».
I cantanti lirici, diversamente dagli strumentisti, sono relegati in categorie o caratterizzazioni vocali vagamente muscolari, definiti soprani, tenori, baritoni o bassi, ora drammatici, eroici, lirici, leggeri con
“voce verdiana” “voce in maschera” “voce di petto” e così via, che se pure cercano di spiegare la tecnica della fonazione, pare escludano l’origine fondamentale della voce, ossia il processo fisiologico da cui nasce
la parola, la spiritualizzazione della stessa che diviene canto, colore e interpretazione. In sostanza il cantante professionista non può che essere intelligente, perché è la musica a richiederlo. In quale posizione
di tecnica vocale ti riconosci?
«Nel mondo della lirica, si lavora per rendere le voci, grandi, scure, potenti, con il risultato di costruire voci tutte uguali e artefatte. Spesso si chiede ai cantanti di interpretare repertori non adatti alle loro possibilità vocali,
rovinando per sempre belle voci e questo spiega la brevità di certe carriere. Ho sempre ricercato la naturalezza e la purezza della vocalità, nella convinzione che nella voce cantata si dovesse riconoscere il timbro naturale della voce parlata. Una volta acquisita una buona “tecnica” bisogna essere interpreti e soprattutto “artisti intelligenti”.
Ciò significa anche saper scegliere, a seconda del repertorio, il giusto colore, il vibrato, il tipo di emissione che
stilisticamente il brano richiede, cercando di rispettare sempre, la musica e il testo. Ma più che un processo solo di
muscolatura, mi piace pensare che sia il cervello a dare un comando e a realizzare il suono o la frase giusta. Poi c’è l’aspetto più interessante, che nessuno può insegnare, trasmettere un’emozione. Ci sono artisti che “passano” e artisti che “non passano”».
Come si pone oggi un giovane musicista serio, intelligente, preparato, a fronte di un sistema di mercato che
promuove attraverso i media, disarmanti mediocrità sdraiate sul nulla, se poi queste vengono correlate agli
inarrivabili miti di un glorioso passato? Basti un nome su tutti quale simbolo di un intero periodo. MariaCallas.
«Viviamo in un tempo dove modestissimi “musicisti” che in altri tempi non sarebbero stati presi neanche in considerazione, diventano delle star. Gli italiani, sempre più ignoranti e pigri, ignorano, snobbano e dimenticano i
loro “grandi artisti” per genuflettersi al cospetto di nullità. Il mondo dello spettacolo e dello show business è riuscito a far passare dei modelli incredibili a danno anche dei grandi miti del passato, oggi ingiustamente
dimenticati. Provate a domandare a un giovane chi è stato Giuseppe Di Stefano! La cosa che mi addolora molto è vedere quanto in tutto ciò siano compartecipi i media, e le istituzioni. La gente riconosce solo quello che passa in televisione, se non ti vedono in tv semplicemente non esisti».
Per i giovani e non solo, l’accesso alla carriera è assai arduo e sovente determinato da “pedaggi” che poco hanno a che vedere con i meriti (I Mercanti della Lirica di Norman Lebrecht. La Repubblica 22.09.97 pag. 23
sezione cultura – Leonetta Bentivoglio). Anche se oggi emergono talenti con dei meriti che tuttavia possono essere assoggettati a qualche regola non scritta. Dopo una intensa attività di palcoscenico
operistico e nel pieno possesso vocale, ti sei dedicata alla attività concertistica nel repertorio barocco , alla
ricerca di rarità delle canzoni napoletane classiche e alla pubblicazione discografica. Quali sono le ragioni di
questo tuo abbandono spontaneo dell’attività teatrale? Ci puoi parlare delle tue esperienze positive o negative?
«La carriera di un giovane cantante lirico oggi dipende esclusivamente dagli agenti e dai direttori artistici dei teatri, sono loro che decidono chi “deve” e chi “non deve” fare carriera. Anni fa, feci un’audizione con un noto agente
italiano, eravamo nel suo ufficio dove mi accompagnò personalmente al piano e dopo aver cantato varie arie di diverso repertorio mi fece accomodare in un’altra stanza e mi disse con molta franchezza: “Lei ha una bella voce, canta bene ed è anche una bella donna, sarò sincero con lei, se vuole fare carriera ha tre possibilità: la prima è che lei abbia un padre, un marito o un amante politico; la seconda possibilità è quella di foraggiare i direttori artistici dei teatri facendo trovare nelle scatole dei cioccolatini biglietti da cinquecento euro; e la terza possibilità è che lei si
renda disponibile ad incontri sessuali”. Negli ultimi anni, ho scelto di dedicare il mio tempo alla riscoperta di musiche e musicisti desueti, auto producendo tutti i miei cd. Tutto questo è stato finora possibile grazie al sostegno di musicisti e persone che condividono con me gli stessi ideali di bellezza musicale e credono che certa musica non debba essere dimenticata ma vada custodita e condivisa con più persone possibili. In questo senso una casa discografica olandese, la Brilliant Classics, ha accolto le mie proposte, stampando e distribuendo in tutto il mondo i
miei cd, contribuendo ad una importante operazione culturale. Lo avrebbero dovuto fare in Italia, ma non lo hanno fatto, anzi considerano la musica da camera e la canzone napoletana un genere che non è più di moda».
Vivi a Roma, ma hai un lungo rapporto professionale con Lugano, dove realizzi buona parte delle tue registrazioni discografiche, oltre alla tua collaborazione con la Radiotelevisione svizzera e con i Barrochisti
diretti da Diego Fasolis. Diversamente da Roma, dove molto può accadere, Lugano offre certamente un ambiente più rilassato, ottime condizioni professionali e logistiche e non da meno anche costi competitivi.
Dunque una sede ideale per fare musica…
«Lugano per me, rappresenta da oltre dieci anni, una sponda felice dove realizzare i miei progetti musicali. I prezzi sono competitivi rispetto all’Italia, la professionalità garantita e i rapporti umani molto più rilassati. Peraltro ricordo con molto piacere la mia esperienza presso la Radio Televisione Svizzera dove sono stata ospite di trasmissioni radiofoniche e dove ho inciso l’ “Ercole Amante” un opera del 1662 di Francesco Cavalli diretta dal Maestro Diego Fasolis».
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi desideri?
Tra il 2018/2019 ho tre cd in uscita. Un tributo a Gaetano Donizetti e al suo periodo napoletano, con due cicli
completi per voce e piano, le “Nuits d'été à Pausilippe” e le “Soirées d’automne à l'Infrascata”. A proposito il mio
partner in questo cd si chiama Fausto Tenzi, lo conosci? L’altro cd “Ninna Nanna” è una raccolta di 17 ninna nanne
classiche, un viaggio dal Seicento ad oggi, attraverso grandi autori come Merula , Mozart, Schubert, Brahms ,
Puccini, De Falla, Tosti, Davico, Del Bono ecc, che si sono cimentati in questa “dolcissima” forma musicale. A
marzo, insieme al pianista Marcos Madrigal, incideremo a Lugano due cd monografici dedicati a “Carlos
Guastavino” musicista argentino del XX secolo. Il primo cd dedicato alla produzione pianistica e il secondo
dedicato due cicli di romanze per voce e piano straordinari sia per la bellezza musicale che per i testi poetici.
“Floras Argentinas”, una raccolta di dodici brani ognuno dedicato a un fiore e le “Siete canciones sobre poesias de
Rafael Alberti”. Il mio desiderio più grande è quello di far conoscere a quante più persone possibili queste musiche
meravigliose. In fondo l’esigenza di ogni artista è proprio questa, poter condividere con gli altri i propri ideali di
bellezza».
EEdiizziionnee:: Ticino Welcome 57 - Mar/Mag 2018
Pubblliiccaatto iin Personaggi (/it/personaggi)
Ettiiccheettttaatto ssotttto #tw57 (/it/itemlist/tag/tw57) #personaggi (/it/itemlist/tag/personaggi)